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DIFFAMARE ATTRAVERSO I SOCIAL NETWORK:fino a 3 anni di pena e richieste di risarcimento

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Facebook  : cause per diffamazione

Il post di oggi vuole essere  un avvertimento per gli  amministratori delle pagine facebook che usano questo strumento per diffamare e insultare, poi seguirà una diffida e quindi una querela:
«Facebook non può sottrarsi alle regole del diritto comune – spiega Giuseppe Conte, professore di diritto privato e avvocato esperto di privacy e comunicazioni elettroniche – e gli utenti dei social network non possono invocare la spazialità virtuale quale esimente per le loro affermazioni e i loro comportamenti. La tutela dei beni morali e, più in generale, dei diritti della personalità non viene sospesa nello spazio telematico». Il messaggio è chiaro e le conseguenze non si sono fatte attendere.
Il reato in cui più facilmente possono incorrere gli utilizzatori di Facebook è la diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità: le pene possono arrivare fino a tre anni.
A configurare il reato, non solo le offese esplicite all’altrui reputazione.La soluzione potrebbe essere semplicemente un utilizzo più cauto dei social network, ma gli esperti avvertono che su Facebook ci sarebbero ancora molti gruppi «a rischio», che presto potrebbero finire nelle aule dei tribunali italiani.di Marisa MarraffinoLo schermo di un computer ci rende meno responsabili dei gesti che compiamo con un semplice retweet o ticchettando quasi incuranti di quello che scriviamo con la nostra tastiera. Il fatto di essere dietro uno schermo ci dà la sensazione di essere meno responsabili dei nostri comportamenti, ma purtroppo non è affatto così.La responsabilità che percepiamo infatti non va di pari passo con le conseguenze penali dei nostri comportamenti. Il rischio di finire davanti a un giudice penale è molto alto in tutti i casi in cui ci divertissimo a ledere la reputazione di chiunque abbia letto le nostre offese e si ritenga danneggiato nella sua reputazione.L’esperienza delle aule di giustizia ci dice che sono sempre più frequenti e all’attenzione di Tribunali italiani le cause penali con imputati accusati di aver offeso il decoro e l’onore di altrettante numerose vittime del reato di diffamazione. Prevenire e meglio che curare (e che pagare un avvocato o sporcarsi la fedina penale) ecco qualche consiglio per evitare conseguenze inaspettate.


Lo schermo non giustifica le offese.
Il principio da non dimenticare per evitare una condanna da sei mesi a tre anni (per non parlare del risarcimento del danno) è che tutto quello che pubblichiamo su Facebook o twittiamo su Twitter potrà essere usato contro di noi davanti a un Tribunale. Non conta con che strumento decidi di offendere la reputazione, ma rileva la mera circostanza dell’aver offeso.

Voleva essere solo una battuta. Qui i social network diventano il principale artefice della nostra condanna. Come faccio a provare al giudice che io quelle offese le ho scritte, ma in realtà non volevo offendere proprio nessuno? Lo schermo ci allontana dal reale e ci fa perdere tutte le carte che potremmo giocarci se la nostra affermazione fosse stata pronunciata chiacchierando al bar con un gruppo di amici, tutti perfettamente capaci di raccontare al giudice il tenore delle nostre parole. Purtroppo, però, il nostro schermo non può testimoniare…

Non sono stato io! Tocca a ciascuno di noi dimostrare che quel qualcun’altro si è intrufolato nel nostro profilo e ci ha rubato anche solo per qualche istante la nostra identità! Non sempre questo è facile e tante volte nemmeno è possibile riuscire a fornire la prova al giudice che le offese al nostro nemico sono il frutto di una scelta di qualcun altro. Le difficoltà crescono quando quelle stesse frasi potremmo averle dette noi. Pensiamo, ad esempio, al caso in cui un nostro collega utilizzi indebitamente il nostro profilo e offenda lo stesso datore di lavoro. Siamo proprio sicuri che riusciremmo a convincere il giudice che tutte quelle offese noi non possiamo averle pensate?

Come se l’avessimo scritto sul giornale. Non solo di una semplice diffamazione potremmo essere chiamati a rispondere. In caso di condanna nessun principe del Foro sarà in grado di evitarci l’aggravante dell’ “aver recato l’offesa con il mezzo della pubblicità”. E’ così che un’offesa diffusa su Internet viene equiparata ad una diffamazione commessa con il mezzo della stampa.

http://www.wired.it/internet/social-network/2013/12/09/come-un-insulto-su-facebook-si-trasforma-una-causa-penale/

Anzi l’utilizzo di Internet integra l’ipotesi aggravata di cui all’art. 595, co. 3, c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale.

Il web 2.0 quindi non può e non deve essere considerato una “zona franca” del diritto, bensì come uno degli ambiti nei quali l’individuo svolge la sua personalità e che necessita di una disciplina idonea ad attuare le tutele previste dall’ordinamento.

L’onore consiste nel sentimento che il soggetto ha di sé e del proprio valore; la reputazione, invece, nel sentimento che di tale soggetto ha la collettività.

L’onore, tutelato dalla fattispecie dell’ingiuria, può essere leso, pertanto, solo in caso di offese rese in presenza del destinatario; la reputazione, tutelata dalla fattispecie della diffamazione, solo in caso di offese fatte in presenza di altri.

Il reato più frequente, che si può verificare in questi casi, è quello di diffamazione. L’inserimento di frasi offensive, battute pesanti, notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o comunque la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, anche potenziali, sulla reputazione della persona ritratta possono integrare gli estremi del reato di diffamazione, punito dall’art. 595 c.p.

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Il reato di diffamazione: disciplina giuridica nel nostro e altri ordinamenti, e riferito ai social network

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Diritto penale

Nel diritto penale italiano la diffamazione, è il delitto previsto dall’art. 595 del Codice Penale, rubricato “diffamazione” che recita testualmente:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della

multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
La norma, con un parziale rinvio al delitto di ingiuria previsto dall’articolo 594 del codice penale, punisce chi, comunicando con più persone, offende l’onore o il decoro di una persona non presente. Gli elementi necessari perché si possa configurare questo delitto sono tre:
l’offesa all’onore o al decoro di qualcuno, la comunicazione con più persone e l’assenza della persona offesa.



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